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ANGELO FRANCESCO LAVAGNINO
(Genova 1909 - Gavi 1987)


Nato a Genova il 22 febbraio 1909, allievo per il violino di A. Fossa e per la composizione di M. Barbieri, R. Bossi e V. Frazzi, si diplomò al Conservatorio di Milano giovanissimo nel 1932. Per nove anni dirige il liceo musicale di Genova.

Lavorò intensamente alla composizione di musica da camera, sinfonica, sacra e teatrale, all’interno della quale si distinguono i poemi sinfonici Volo d’api (1936), Tempo alto (1938), Caccia (1939) e Le cronache. Nel 1942 venne eseguito alla Scala di Milano ed in numerose città d'Italia del concerto in La per violino ed orchestra (con direttori quali Antonio Guarnieri, Willi Ferrero e Carlo Maria Giulini; violinisti Riccardo Brengola, Ferruccio Scaglia, Teddy Ferrero); nel 1951 è rappresentata con successo l'opera in tre atti Malafonte al Teatro Regio di Anversa, composta nel 1939. Nel 1952 è eseguita a Siena, a Radio Monteceneri Ilversun, la Messa Chigiana per soli, coro misto, orchestra ed organo ordinatagli dal Conte Chigi per l'inaugurazione della porta di bronzo del duomo di Siena. Nello stesso anno, l'allora famoso quintetto Chigiano, eseguì il suo Quintetto per archi e piano in occasione del festival di musica contemporanea di Venezia. La sua attività di compositore si esplicò in un nutrito repertorio di musica sinfonica da camera (trio, quartetto per archi, sonata per violino e pianoforte, sonata per due pianoforti) oltre a molta musica didattica per vari strumenti.


Già prima della seconda guerra mondiale comincio ad accostarsi al cinema al quale si dedico in maniera continuativa dagli inizi delgi anni '50. In questo ambito ha elaborato tecniche di composizione piuttosto brillanti, sia per lo strumentale usato sia per la sua personale curiosità nella tecnica della registrazione dei suoni.

Nel 1947 per incarico del mecenate Conte Guido Chigi Saracini, iniziò a tenere corsi sperimentali di musica per film all'Accademia Chigiana di Siena, seguiti da numerosi discepoli accorsi da tutto il mondo, attività che prosegui fino algli anni sessanta.

Pur avendo musicato per Orson Welles, nel 1950, l'Othello (uso anticonvenzionale di un piccolo organico, nonché di un timbro apparentemente poco shakespeariano come quello dei mandolini), si affermò nel filone dei "films di viaggio" una novità per l'Italia degli anni '50, ossia dei film d'esplorazione, per i quali dimostrò originale sensibilità ed intuizione, non elaborando i temi folclorici, né adattando manieristicamente gli strumenti appartenenti alle varie culture musicali, ma recuperando in loco le sonorità e usando tutte le possibilità della tecnologia moderna per "costruire un suono".

Il primo titolo "esemplare" di questo periodo della carriera di Lavagnino è Magia verde (1954, di G. Napolitano), dove i paesaggi, le usanze, le cerimonie, le stagioni, le avventure di un viaggio intercontinentale sono sostenute da un'abbondante partitura basata su materiale folclorico originale, registrato dallo stesso compositore nei luoghi delle riprese, ma assorbito e trasformato in un ricco sinfonismo descrittivo. Le stesse caratteristiche si ritrovano in Continente perduto (1955, di Moser, Gras e Craveri, vincitore del "Nastro d'Argento" nel 1955 per la colonna sonora), Tam-Tam Mayumbe (1955, di Napolitano), L'impero del sole (1956, ancora di Gras e Craveri), L'ultimo paradiso (1957, di F. Quilici), La muraglia cinese (1958, di C. Lizzani), Calypso (1959, di F. Rossi e C. Colonna). Siamo, col procedere, alla ripetizione della formula, che si mantiene inalterata anche in film non propriamente esotici, come La grande olimpiade (1961, di R. Marcellini) e Concilio Ecumenico Vaticano II (1962, di A. Petrucci), d'altronde ricchi di musiche sfarzose, misticheggianti, liricizzanti, celebrative. Lavagnino ha lavorato moltissimo su ordinazione, imbastendo commenti anche a film dozzinali, soprattutto affidandosi alla sua tecnica collaudata
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Ma non appena c'è stata l'occasione, ecco lo scatto di una trovata, lo svincolamento in una ricerca non banale, l'adozione di un procedimento originale. Indicativamente, si possono estrarre dalla massa titoli come Un americano a Roma (1955, di Steno: zeppo di ammiccanti citazioni); Un po' di cielo (1956, di G. Moser: il leitmotiv é zufolato); Legend of the Lost (Timbuktu, 1957, di H. Hathaway: su un miraggio si innesta una buona pagina "magica", con note tenute lungamente negli archi e vocalizzi femminili), The Wind Cannot Read (Il vento non sa leggere, 1958, di R. Thomas: a parte gli interventi eccessivamente sentimentali, c'è un buon ricupero di musica indiana in funzione narrativa), Policarpo ufficiale di scrittura (1958, di M. Soldati: teneramente nostalgico nei confronti della "belle-epoque" italiana), Ferdinando I re di Napoli (1959, di G. Franciolini: commento tagliato come se il film fosse un'opera buffa), Jovanka e le altre (1960, di M. Ritt: ha pagine robuste e sanguigne), Che gioia vivere (1960, di R. Clement: strumentazione brillante ed episodi comicamente contrappuntistici), I briganti italiani (1960, di M. Camerini: perfetta "ouverture" dalla spavalda virilità), Madame Sans-Gêne (idem, 1961; di Christian-Jaque: anche questa trattata da opera buffa), Campanadas de medianoche (Falstaff, 1966, di O. Welles: scrupolosa ricostruzione di musiche antiche e rifacimento di altre), nonché i film africani dei fratelli Castiglione.
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Sono ancora da ricordare : Totò e Carolina (1955, di M. Monicelli), Le avventure di Giacomo Casanova (1955, di Steno), Il conte Max (1957, di G. Bianchi), Tutti a casa (1960, di L. Comencini), Venere imperiale (1963, di J. Delannoy), Daisy Miller (1974, di P. Bogdanovich).

Lavagnino ebbe molti interessi oltre la musica. Scrisse un racconto sui pirati, collezionò antichità, libri e medaglie vaticane, amò viaggiare, fu un abile fotografo e trascorse molto tempo con la sua famiglia. Morì a Gavi il 21 agosto 1987.